Valeria Celli è la vincitrice del premio letterario Giorgio d’Ascia edizione 2008 con una favola che s’intitola “Ildegardo lupo codardo”.
Valeria è laureata in Lettere Moderne e ha insegnato lettere. Ora che è in pensione coltiva la sua passione per la scrittura, arrivando prima a diversi concorsi letterari con favole, racconti umoristici, poesie e testi teatrali.
E’ una favola che vale la pena pubblicare:
ILDELGARDO LUPO CODARDO di Valeria Celli
Il solstizio d’inverno: la notte più lunga, quando il sole sembra soggiacere alle tenebre che lente, come ombre invincibili, salgono prendendo sempre più luce al giorno. La foresta era scura nel pallido chiarore lunare. Gli alberi mandavano lunghe ombre spettrali, mentre i fiocchi di neve cadevano lenti. All’improvviso nel silenzio l’ululato del vecchio maestro s’innalzò verso la pallida luce che a stento illuminava il sottobosco ghiacciato. Cauti i lupi uscirono dalle tane e si incamminarono per giungere ai piedi della roccia da cui era partito il richiamo. Iniziarono a correre veloci; solo l’impronta sulla neve tradiva il loro passaggio, i loro occhi gialli, impenetrabili, fendevano il buio. I lupi vivevano in coppia e si riunivano a branco solo per cacciare, o, come quella sera, per imparare. Si sedettero intorno alla roccia. Le code delle coppie si intrecciarono. Uno dei giovani prese posto vicino alla compagna prescelta e la sfiorò appena accarezzandola con la coda. Si guardarono intorno e si contarono: c’erano tutti, nessuno era rimasto vittima di un cacciatore o di una tagliola. Il branco ululò.
La foresta tacque e tutti gli animali si rifugiarono nel fondo della tana tremando. I cervi drizzarono le orecchie e fiutarono l’aria, pronti a fuggire. Dove sarebbero andati a caccia i lupi quella lunga notte? Quale animale sarebbe stato braccato, inseguito, divorato dopo una corsa lunga e sfibrante. La foresta era tutta un fremito, un fremito di paura, di angosciosa attesa…. ma il branco non si era riunito per cacciare. La sera prima i lupi avevano mangiato a sazietà e tutti noi ormai sappiamo che gli animali non uccidono solo per il gusto di farlo, come fa l’uomo, ma per sopravvivere e che questo porta equilibrio nell’ambiente.
Quella sera i lupi si erano riuniti solo per imparare. Parlava Bradir un grande lupo saggio dal pelo ormai quasi completamente grigio. La sua corsa era diventata un po’ lenta, i suoi salti meno alti, ma era un saggio e il branco per questo lo rispettava. Raccontò ai lupi, che attenti lo ascoltavano, le antiche storie. Sospirava narrando quanto a quel tempo i lupi fossero numerosi e abitassero montagne che erano a poche centinaia di chilometri. Ricordava le vicende del fiero popolo dei lupi così indomito che, nonostante la spietata caccia degli uomini, si era guadagnato fama e onore, tanto che era stato dato a molti condottieri italiani che avevano lottato per la libertà proprio il soprannome di “Lupo”. Ricordava le storiche tracce lasciate dal popolo degli uomini; i lupi, invece, definitivamente sconfitti, avevano abbandonato molti territori e di loro non era più rimasta né memoria né storia.
I presenti sospiravano pensando all’ingiusta caccia fatta alla loro razza. Bradir interruppe improvvisamente il racconto. Dopo qualche minuto di sospeso silenzio disse: “E’ ora di ritornare nelle nostre terre, è ora di essere forti!”
I lupi tremarono.
“L’uomo è cambiato – continuò – ha capito che anche noi possiamo essere utili all’ambiente!”
Tra i presenti serpeggiò un ringhio contrariato. Uno urlò: “L’uomo perde i capelli ma non il vizio!” Gli altri annuirono.
“Sono già ritornati in molte montagne linci ed orsi. Sono protetti: lo stesso accadrà anche per noi”, spiegò Bradir.
Gli astanti non si convinsero. Dopo un’interminabile discussione decisero di mandare in avanscoperta un giovane lupo. Tirarono a sorte: doveva andare Ildelgardo. Nonostante questo nome importante il lupo era dal branco soprannominato “il codardo”.
In realtà il nostro giovane lupo non era certo un vigliacco, era solo un sognatore e aveva un animo sensibile. Non sfidava mai in combattimento altri lupi, non amava il potere e cacciava solo quando era sfinito dalla fame (quando aveva appunto una fame da lupo!). Amava la natura, sentiva il profumo dei fiori e si divertiva ad osservare farfalle e libellule.
Quando fu estratto a sorte il suo nome tutti risero, ma il nostro lupo non si sottrasse certo al suo incarico e si mise in viaggio. Salutò con un lungo ululato gli amici e poi in silenzio salutò la foresta in cui era cresciuto, gli anfratti in cui si nascondeva, il vecchio tronco cavo che era stata la sua tana da cucciolo e lento iniziò la sua marcia nella neve diretto verso la terra che secoli prima era stata dei suoi antenati. Giunto al confine tra la Slovenia e l’Italia si fermò ad osservare una lince bianca che attraversava di corsa una radura innevata. Si udì uno sparo: si acquattò veloce.
Sulla neve si formò una chiazza rossa. “Stupido ha rovinato la pelliccia!”, sentenziò uno dei due uomini.
“Non temere ne ricaveremo ugualmente qualcosa!” rispose l’altro.
“Eccoli! ecco i cacciatori di frodo…Fermi!” Gridarono due uomini in divisa che erano accorsi dal bosco udendo gli spari.
I due cacciatori fuggirono. La piccola lince era morta.“Una delle tanti morti inutili”, pensò tra sé il lupo, almeno gli fosse rimasta la carne da mangiare!
Più cauto proseguì il suo cammino facendo scomparire le sue tracce sulla neve usando la coda come una scopa. “Devo stare attento” pensava “molto attento!”, meno male che madre natura lo aveva dotato di un mantello mimetico.
Superò il passo. Attraversò il confine tra i due stati. Un confine messo dagli uomini, perchè gli animali, le piante, i fiori non hanno confini. Giunse così all’inizio della primavera nella terra dei suoi avi. Era una terra ricca di grandi parchi e di laghi dalle acque limpide dove quasi a gara si rispecchiavano maestose le montagne di quella parte dell’arco alpino, cime imponenti che superavano i duemila metri.. Camminava cercando un rifugio. Dall’alto guardava i paesi: erano piccoli, quasi da fiaba, di notte Ildelgardo li scorgeva lontani, aggrappati ai monti, quasi paesi di fondali di presepe. Voleva raggiungere l’Abruzzo dove sapeva si trovavano i suoi simili, ma era ancora molto lontano. Il lupo seduto all’ombra delle rocce guardava la luna. Il suo istinto gli diceva di ululare, ma la ragione lo tratteneva. Gli uomini gli avrebbero dato la caccia. Da millenni gli uomini erano avversi ai lupi. Eppure ora erano più pericolosi i cani che abbandonati dai padroni si inselvatichivano e creavano branchi incontrollabili. A volte i loro danni erano attribuiti ai lupi; guardando il cielo notturno pensava: “Luna che sempre vai,/luna dimmi che fai…tu pellegrina in fuga nella sera /sai del mio popolo la storia vera/ i lupi sono stati quasi sterminati / a tal punto furono cacciati! / Vorrei solo che di questo errore / si ricredessero gli uomini nel cuore / vorrei tornare libero a casa mia / superando l’umana follia / che da sempre vuole punire/ chi il suo volere non vuole subire. / Il lupo alla natura noia non dà/ ha quindi diritto alla libertà / solinga mia luna che vai…”
Purtroppo senza che Ildelgardo se ne accorgesse questa composizione poetica gli uscì dalla bocca sotto forma di un lungo ululato. Tutti lo sentirono e iniziarono a preoccuparsi per il ritorno del lupo. Furono avvisati pastori, mandriani, le guardie forestali; si sorrisero tra loro i cacciatori. Il lupo, rendendosi conto dell’errore, pensò di essere più sicuro vicino agli uomini: lì non l’avrebbero mai cercato…aveva anche notato che usavano cani da slitta che gli erano molto simili (naturalmente da lontano) e forse, scorgendolo, l’avrebbero confuso con uno di questi…Il cane…si era adattato così bene all’uomo…eppure sembrava felice anche quando era usato! Forse gli uomini avevano qualità che i lupi non avevano ancora notato, pensava Ildelgardo camminando. Era ormai estate e il lupo correva attraverso i boschi di faggio e le conifere. Aveva scorto tracce, sentito odori e visto camosci, caprioli, marmotte, stambecchi, ma non li aveva cacciati…si era nutrito solo di piccoli roditori, proprio perchè nessuno si accorgesse della sua presenza…poi quell’ululato l’aveva tradito! Dove andare? Camminava di notte all’ombra di seggiovie ormai ferme dopo il metodico andare del giorno…immaginava d’inverno gli sciatori andare per quelle piste…nella sua fantasia sentiva gli urli alla sua vista…Aveva fame…Girovagò a lungo nei boschi… giungendo infine in un piccolo paese di montagna.
Sentì uscire da una villetta un delizioso profumo di arrosto. Si leccò i baffi e decise di aspettare gli avanzi nei pressi del cassonetto…Dopo un’ora uscirono dalla casa due bambini che lo videro. Pensarono che fosse uno dei soliti cani abbandonati da un turista di passaggio. Provarono ad avvicinarlo; il lupo si teneva sempre a rispettosa distanza. I bambini allora gli portarono un’ottima zuppa e acqua da bere, poi rientrarono in casa. Il lupo a notte fonda si avvicinò alla ciotola, mangiò e bevve. Da allora ogni sera Gina, una ragazzina di dodici anni e il piccolo Toni di cinque gli portavano del cibo che il lupo di notte mangiava. Grato si affezionò ai bimbi e spesso non visto li osservava mentre giocavano in giardino o andavano in giro per il paese assieme ai genitori. A volte loro lo scorgevano tra i cespugli e provavano a chiamarlo: “Bobi, vieni qui, non aver paura!”
“Attenti può essere selvatico!” li ammoniva la mamma.“No, sappiamo che è buono…”
Nel frattempo l’autunno era improvvisamente giunto con i suoi colori di fuoco, le prime brezze fredde e qualche temporale… Un sabato la mamma andò dalla nonna e il babbo dopo la scuola portò i bimbi nei boschi per raccogliere i funghi. Aveva in mano un cestino pieno di leccornie per la merenda.I bimbi erano felici. Il lupo li seguì, pregustando qualche bocconcino dal cestino. Si incamminarono. Gina e Toni giocando correvano avanti e indietro ridendo, ma purtroppo la ragazzina inciampò in un tronco, scivolò e prese una brutta storta. La bambina piangeva per il male, il padre allora la prese in braccio e cercò la via più rapida per ritornare in paese. Imboccò un sentiero che scendeva verso valle con una forte pendenza. Il peso della bimba gli fece, a metà strada, perdere l’equilibrio, caddero e rotolarono per alcuni metri. La testa del padre sbatté contro una pietra. L’uomo rimase immobile; un tenue filo di sangue gli attraversava la fronte. Toni e Gina lo chiamarono tante volte, provarono a scuoterlo, ma tutto fu inutile, non si riprendeva. Le ombre della sera cominciavano ad avvolgere il bosco come in un abbraccio. Nel cielo non c’erano stelle; iniziarono a cadere le prime gocce di pioggia. “Vai a chiamare aiuto!” disse Gina al fratello.
“Non posso, ho paura é buio”, rispose Toni scoppiando a piangere.
Ildelgardo capì che non ci sarebbe più stata nessuna colazione sull’erba e si allontanò in silenzio sospirando. Il vento che lo seguiva continuava a portargli il pianto dei due bambini. Ricordò tutte le loro gentilezze, le loro premure. Disse a se stesso che era un lupo e che i lupi sono freddi e crudeli (almeno così pensano gli uomini!).
Camminò ancora un poco poi si fermò, si rimproverò per la sua debolezza ma tornò indietro. I bambini lo videro fermo sul limitare del bosco mentre li osservava. “Bobi, sei arrivato, che bello… vai tu a chiamare qualcuno…” gli disse Toni.
Ma per la prima volta Toni e Gina videro da vicino i vigili, freddi occhi gialli dell’animale. Sembravano brillare nel buio prendendo bagliori di fuoco.“E’ un lupo! Un lupo VERO!”, balbettò il bambino impaurito.“Ci mangerà!”, continuò.
“Non essere sciocco… se avesse voluto ci avrebbe già mangiato…” gli rispose Gina non molto convinta, allungando il cestino a Ildelgardo.
“Nessuno può avere un lupo per amico, per questo non ci aiuta”, sospirò Toni, “papà morirà e sarà colpa mia…vado a chiamare aiuto!”
Ma in quel momento il lupo si sedette vicino all’uomo disteso per terra, lo annusò, sollevato capì che non era morto. Si guardò intorno: era notte fonda e pioveva, drizzò le orecchie udiva solo la pioggia cadere,.. Si sedette sulle zampe e cominciò a ululare forte e chiaro, pensando che gli uomini del paese sarebbero accorsi per abbatterlo e in questo modo lui avrebbe salvato la famigliola.
Il suo ululato attraversò il bosco e si diffuse nelle valli. L’urlo del lupo percorreva sentieri nascosti portato dal vento. L’eco lo trasportava di monte in monte…. Continuò ad ululare finché non sentì le voci e i passi rapidi dei cacciatori che stavano giungendo dandosi ordini. Solo quando scorse gli uomini tacque tremando, indeciso se fuggire o meno.
Non si era accorto che Toni lo stava accarezzando. Gli uomini aiutarono il padre a riprendersi, poi severi guardarono il bambino e il lupo, dissero a Toni di spostarsi, ma lui abbracciò con forza Ildelgardo. “Ci ha salvati”, disse Gina, “lasciatelo stare.” Guardò il cestino del pic-nic ancora pieno, guardò gli uomini e le loro torce dalla luce abbagliante. “Anche i lupi sono utili in natura, me l’hanno insegnato a scuola”
“Se hai un lupo per amico tieni il cane sotto il mantello!” sentenziò un vecchio
“Sotto il mantello c’è il cuore, e nel cuore l’amicizia…Non è forse così?”, disse il padre di Gina. “Lasciatelo andare”. Gli uomini deposero i fucili, il lupo salutò Toni leccandogli la mano.
“Grazie, amico “, disse il bambino,” scusa se ti avevo mal giudicato…”
Il lupo scomparve nel fitto del bosco. Tornava dal suo branco per raccontare ciò che aveva visto. Sì, gli uomini erano cambiati: il rapporto dell’uomo con la natura sembrava ora essere diverso, ora erano presenti rispetto e tutela. L’aveva notato durante il suo cammino; aveva capito che gli esseri umani stavano facendo un lento e costante percorso d’amore. Non era sicuro che gli uomini fossero veramente pronti per il ritorno del lupo, ma i cuccioli d’uomo erano pronti: bisognava aspettare poco tempo, solo che quei cuccioli crescessero…che belli quei cuccioli!
Ringraziamo Valeria per questa bellissima favola che ci fa sperare ancora nella bontà d’animo delle persone.