Ricordate Laetitia Becker? Ne abbiamo già parlato in un precedente articolo
Laetitia Becker, 24 anni francese, da tre anni vive nei boschi della Russia centrale, a 500 km a Nord-Est di Mosca, per studiare il comportamento dei lupi
Abita in una casa di legno in mezzo alla foresta, solo in compagnia di questi affascinanti animali.
E’ proprio il caso di dire che Laetitia “balla coi Lupi”.
C’è una leggenda che ancora oggi racconta come un lupo (anzi, «Il Lupo») un inverno, nel paese di Lugnano, sia entrato in una casa, sia salito su per le scale e abbia portato via un neonato in fasce, prendendolo dalla culla. Solo una delle tante variazioni della fiaba «Cap-puccetto Rosso»? Del lupo è stato detto di tutto, e purtroppo ancora oggi l’idea che si ha di lui è spesso legata a paure superstiziose, a fantasie negative che risalgono al medioevo, quando i lupi davvero rappresentavano un pericolo soprattutto per le greggi, ma a volte anche per gli uomini.
Fin dall’epoca romana la Sabina era ricoperta di foreste, e non mancava certo la selvaggina (cervi, cinghiali, caprioli) per la caccia sia dell’uomo che del lupo. Anche allora i pastori dovevano difendere le greggi dai predatori, soprattutto con cani robusti e addestrati. Ma il lupo non era considerato un pericolo per le persone.La stessa leggenda della fondazione di Roma, con la lupa che allatta Romolo e Remo e che è diventata simbolo della città, lo testimonia.
È nel medioevo che la sua presenza comincia a essere percepita come estremamente pericolosa anche per gli umani, oltre che come annunciatore e portatore di disgrazie. Neppure San Francesco e i racconti a lui legati, sono riusciti a sfatare queste superstizioni, che sono arrivate fino a noi.
La caccia ai lupi, con ogni mezzo, si è protratta a lungo, con i famosi «lupari» di Leonessa, cui veniva garantito un premio in denaro per ogni lupo catturato.
Certo allora erano considerati quasi degli eroi, ed effettivamente erano grandi conoscitori delle montagne e degli animali che ci vivevano. Ma certo l’utilizzo delle tagliole non li rende certo simpatici ai nostri occhi, specialmente da quando, alla metà del secolo scorso, iniziarono a usare i bocconi avvelenati. Questa pratica ignobile colpiva però soprattutto volpi, gatti selvatici, faine, tassi, lepri. Raramente i lupi si lasciavano ingannare, ma la morte delle loro prede li portò, attorno agli anni settanta, sull’orlo dell’estinzione.
Agli inizi del Novecento il lupo, praticamente scomparso da gran parte dell’arco alpino, era ancora discretamente presente lungo tutti gli Appennini. Negli anni venti la specie era infatti così numerosa da essere considerata un flagello. Dopo la seconda guerra mondiale inizia il declino del lupo su tutto il territorio nazionale. La guerra aveva fatto scomparire la transumanza, che per il lupo era occasione preziosa per nutrirsi. La caccia al cervo e al camoscio aveva ridotto moltissimo il numero delle sue prede naturali. L’attività dei lupari era ancora fiorente. In più, negli ultimi decenni, l’aumento incredibile di cani abbandonati e ritornati allo stato quasi selvaggio ha interferito notevolmente con il lupo non solo per la competizione alimentare, ma anche per le rappresaglie che gli allevatori danneggiati, spesso proprio dai cani randagi, facevano contro i lupi.
Dagli anni settanta, grazie soprattutto all’attività dell’Operazione S. Francesco che realizzò nel Parco Nazionale d’Abruzzo il primo centro visita interamente dedicato al lupo, si è cominciato a capire che «il lupo cattivo» non solo non è cattivo, ed è una creatura con pieno diritto alla vita su questa terra, ma è anche un animale con una precisa funzione nell’ambito dell’eco-sistema forestale. Nel 1983 l’Unione internazionale per la conservazione della natura ha inserito il lupo appenninico nel «Libro rosso» delle specie in pericolo di estinzione.
Nel nostro territorio è ancora oggi viva una tradizionale attività agraria e pastorale, che l’insediamento delle imprese industriali non ha del tutto sradicato, e che ancora rappresenta una fonte economica per le famiglie. Ci sono ancora molti boschi di faggi, di querce, di castagni. Di notte questi boschi e i pascoli vicini diventano per i lupi terreno di caccia degli erbivori e in più permettono loro di trovare riparo da cacciatori e bracconieri.
Insomma nella nostra zona, come in altre del resto, uomini e lupi vivono da sempre nello stesso ambiente e hanno ognuno un «ruolo ecologico». Ma è l’uomo, specie dominante, che ha il dovere di salvaguardare le altre, proprio perché dotato di intelligenza, e spetta a lui capire che solo proteggendo tutte le specie, potrà proteggere la sua e l’ambiente in cui vive.
[SheryPon]