Fino a cento anni fa il lupo era tra i mammiferi più diffusi.Alla fine degli anni ’60 il lupo era ancora considerato una specie cacciabile, anche se incominciarono a verificarsi i primi allarmi.Nel 1971 venne approvata una legge che vietò la caccia del lupo e l’avvelenamento e lo inserì tra le specie più protette. Dalle prime ricerche biotelemetriche (cattura di alcuni esemplari che vennero muniti di radio-collare per seguirne gli spostamenti a distanza) del 1975/1976, la situazione risultò grave per la distribuzione della specie su piccole aree geografiche limitate al solo Appennino centrale e meridionale, circa 100-120 esemplari. Partì così il progetto “il lupo e l’operazione S. Francesco” ideato e attuato dal WWF; collaborarono anche Enti pubblici,Università, Parchi Naturali, Assessorati e Comunità montane, ma non si può dimenticare il principale coordinatore: Luigi Boitani, docente dell’Università “La Sapienza di Roma” che annotò tutte le sue esperienze in un bel libro di circa 20 anni fa, ma ancora molto attuale.
Nel 1980, dai primi censimenti, si contarono circa 200 individui, mentre alla fine degli anni ‘80 se ne censirono circa 300.Oggi si parla di 500-600 lupi e la straordinaria novità è che hanno superato le “barriere ecologiche” tra Appennino e Alpi. Per evitare che la tutela del lupo comporti gravi perdite economiche per gli allevatori, diverse regioni hanno istituito rimborsi per i danni subiti a causa degli attacchi al bestiame…ma pur di ricevere rimborsi quanti allevatori denunceranno il vero???Rimettiamoci allora al buon cuore e alla correttezza di questi allevatori!!!
E’ difficile individuare le caratteristiche geomorfologiche, climatiche o vegetazionali che possono definire in maniera univoca l’habitat occupato dal lupo. La specie, infatti, come dimostra l’ampio areale di distribuzione originario, sembra non richiedere requisiti ambientali particolari, quanto, piuttosto, una buona disponibilità di prede e la mancanza di fattori di disturbo, i quali possono interagire negativamente con la riproduzione, l’allevamento dei piccoli e le diverse forme d’interazione sociale. In Europa come in America settentrionale, in ogni caso, sembra che la probabilità di presenza e la densità di popolazione aumentino con l’aumentare dell’abbondanza e diversità delle prede, e con la copertura forestale, mentre diminuiscono con il disturbo antropico (densità di abitanti, sviluppo della rete viaria, presenza di centri abitati) (Meriggi e Massolo, 1998; Corsi et al., 1999; Glenz et al., 2001; Cayuela, 2004; Potvin et al., 2005; Jedrzewieski 2008).
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